25 anni di Majora’s Mask: il lato oscuro di Zelda

Un viaggio nel tempo, tra lune minacciose e maschere magiche: l’eredità inquieta del capitolo più audace della saga
Usciva in Giappone il 27 aprile del 2000, su Nintendo 64, The Legend of Zelda: Majora’s Mask, un seguito diretto di Ocarina of Time… ma completamente diverso.
Oscuro, ansiogeno, poetico. Un gioco che, a distanza di 25 anni, continua a essere oggetto di discussioni, teorie e culto tra i fan.
Mentre la serie Zelda ci aveva abituati a salvare principesse e regni, stavolta ci trovavamo a salvare un mondo intero… dal crollo di una luna con il ghigno più inquietante della storia videoludica.
Il ciclo dei tre giorni: un’idea rivoluzionaria
Majora’s Mask rompeva le regole classiche: niente dungeon lineari, niente lunga campagna epica… ma un mondo che si ripeteva ogni 72 ore (in-game), con Link costretto a tornare indietro nel tempo per evitare la catastrofe.
Ogni azione contava. Ogni secondo aveva un peso.
Ogni personaggio viveva una sua routine, e imparare a conoscerla era la chiave per cambiare il destino.
Le maschere: identità, dolore e trasformazione
Il cuore del gioco erano le maschere: più di 20, ognuna con un potere o un significato.
Le più famose: Deku, Goron e Zora che trasformavano Link in creature diverse, ognuna con abilità uniche e un retroscena drammatico.
Ma c’erano anche maschere “minori”, come quella del Postino o della Coppia, che sbloccavano eventi secondari spesso carichi di malinconia.
Majora’s Mask non parlava solo di avventura, ma di perdita, memoria e accettazione del dolore.
Un gioco adulto, travestito da fantasy per ragazzi.
Un culto nato nel tempo (letteralmente)
All’uscita, il gioco spaccò la critica e il pubblico: c’era chi lo trovava frustrante, troppo diverso, e chi ne rimaneva incantato.
Col passare degli anni, è diventato un titolo di culto, alimentato anche da teorie misteriose come la celebre creepypasta “BEN Drowned”.
La sua influenza è ancora forte in:
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Zelda: Tears of the Kingdom (meccaniche simili, atmosfere rarefatte)
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Indie come Undertale o Outer Wilds, che riprendono il concetto di cicli temporali e scelte morali
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Fan art, remix, cosplay… e una community fedelissima che continua a scoprirne nuovi significati
Majora’s Mask nel retrogaming
Oggi, puoi giocarlo su:
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Nintendo 64 (cartuccia originale con espansione RAM obbligatoria)
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GameCube (in bundle con Zelda: Collector’s Edition)
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Nintendo 3DS (remake con grafica migliorata e piccoli ritocchi)
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Nintendo Switch Online + Expansion Pack, in emulazione N64
Curiosità
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La maschera di Majora compare in moltissimi titoli Nintendo, da Smash Bros. a Tears of the Kingdom
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Il gioco fu sviluppato in soli 12 mesi, un miracolo produttivo ai limiti dell’impossibile
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L’espressione della luna cambia col passare dei giorni… ed è sempre più inquietante
Conclusione: un sogno (o un incubo) da cui non vogliamo svegliarci
The Legend of Zelda: Majora’s Mask non è solo un capitolo della saga: è un’esperienza emotiva, un loop temporale che parla al cuore dei giocatori.
Nel suo mondo straniante e sospeso, c’è tutto ciò che rende il retrogaming magico: emozione, sperimentazione, rischio creativo.
A 25 anni di distanza, non abbiamo ancora smesso di indossare le sue maschere.
E probabilmente… non lo faremo mai.
Hai giocato a Majora’s Mask? Lo hai amato o ti ha inquietato?
Raccontacelo nei commenti e celebra con noi il suo 25° anniversario!